Peter Cameron – Adelphi – traduzione di Giuseppina Oneto
“Ho pensato: che pena coloro che non sono più amati. Che meticolosità nel soffrire, e nel coltivare il rifiuto tormentandosi di continuo le ferite.”
(Area arrivi e partenze)
Peter Cameron è uno dei miei autori preferiti, uno di quegli autori verso i quali parto prevenuta, nella certezza che non potrà mai deludermi. Ma Peter Cameron, per me, non è uno scrittore di racconti, o meglio lo è, ma il Cameron scrittore di racconti non raggiunge la grandezza del Cameron scrittore di romanzi. Prendete questa come una mia modesta opinione, ovviamente, ma io o la sensazione che Cameron abbia necessità di un respiro più ampio, di farci perdere nei suoi dialoghi sempre così perfetti, nei suoi personaggi che paiono sempre sfiorare le pagine, essere nati per vivere proprio lì dove Cameron ha detto loro di stare.
Aggiungiamo a questo il fatto che Che cosa fa la gente tutto il giorno raccoglie anche racconti scritti quarant’anni fa, racconti nei quali io non sono stata in grado di riconoscere il mio amato Cameron (anche se lui afferma che uno di questi è proprio il racconto più amato in Italia. Da me non di certo…).
Mi fa male non tessere lodi per questo autore che, come detto, quasi certamente entra nella lista dei miei dieci autori preferiti, quindi parlerò di quei tre racconti dove lui c’è, dove sono riuscita a ritrovarlo e che da soli, probabilmente, valgono la raccolta (sempre secondo il mio pare, del resto coi racconti spesso è così: quello che accoglie di più il mio gusto, non accoglie il tuo)
Uno è proprio Area arrivi e partenze, dove la sensazione di due persone che ormai non si incastrano più, perché una è andata avanti e una è rimasta attaccata a una speranza, o all’amore che c’è stato, è raccontata senza essere esplicitata, facendocela vedere già in quel titolo così simbolico
“E poi, come un treno in perfetto orario, ho visto la sua mano che attraversava la vuota distesa del lenzuolo che ci divideva. Lì per lì ho pensato che l’aver previsto e paventato il gesto lo avesse innescato – che, non so come, lo avessi spinto a toccarmi attraverso la paura che lo facesse. E Tom mi ha toccato; le dita sono risalite verso l’altro e mi ha afferrato in modo garbato il braccio sotto il gomito. Era un punto strano e poco erotico dove stringere una persona, il punto dove la si trattiene davanti al traffico o ad altri pericoli improvvisi”
Tu lettore te la sentirai addosso quella sensazione e ripenserai a tutte quelle volte in cui hai continuato ad amare, mentre l’altro o l’altra si era già fermata alla stazione precedente.
Oppure, forse il mio preferito, Lentamente
“Io ero stato il loro testimone di nozze. Sono – ero – il fratello di Ethan. Gli avevo presentato io Jane Hobard, una mi amica del college. Ero accanto a lui a guardarla mentre lei arrivava all’altare. Gli avevo passato l’anello; gliel’avevo passato e lui l’aveva dato a Jane. Lo avevo guardato mentre glielo infilava al dito. Li avevo svegliati alle quattro del mattino dopo e li avevo accompagnati all’aeroporto lungo autostrade deserte. Li avevo aiutati a scaricare i bagagli e poi li avevo salutati. Avevo dato un bacio a Jane, ma non a Ethan. Gli avevo stretto la mano? Toccato una spalla? Non ricordo. Probabilmente no”
Un racconto che parla di lutto, di perdita, ma anche della vita che va avanti e, soprattutto, del fatto che quella vita non bisogna sprecarla, mai rimandarla, perché appunto potrebbe cambiare nel tempo di un attimo.
E, infine, Mercatino d’inverno, ancora una storia d’amore o di passione, ma forse una storia che parla di solitudine
«Non sopporto… di stare sola» le sentì dire. «Cioè, prima di te ero sola, ma non me ne ero mai accorta…»
Insomma Cameron bene, ma non benissimo e io da te sono abituata a ricevere il benissimo, quindi attenderò quel tuo nuovo romanzo che non hai ancora iniziato a scrivere…

