Han Kang – Adelphi – traduzione Milena Zemira Ciccimarra
“… cos’è quella cosa che chiamiamo anima? Solo un concetto insussistente? Qualcosa che potrebbe non esistere affatto?
O, forse, è come una specie di vetro?
Il vetro è trasparente, giusto? E fragile. In questo sta la sua natura fondamentale. Ed è per questo che gli oggetti di vetro devono essere maneggiati con cautela. Dopotutto, se finiscono per spaccarsi, incrinarsi o scheggiarsi, non servono più a niente, no? Puoi solo buttarli.
Prima, avevamo un tipo di vetro che non si poteva rompere. Una verità così dura e limpida che poteva benissimo essere fatto di vetro. Così, se ci pensi, è stato solo quando ci hanno distrutti che abbiamo dimostrato di avere un’anima. Che questo eravamo, in realtà: uomini fatti di vetro.”
Di Atti umani avevo sentito parlare decine e decine di volte in libreria, dato che da quando Luca lo ha letto più di un anno fa non ha mai smesso di consigliarlo, di raccontarlo. Eppure ci sono arrivata impreparata. Impreparata all’effetto devastante che ha avuto su di me, al fatto di doverlo appoggiare ogni tanto per farmi passare quel peso sullo sterno o per girare lo sguardo verso il finestrino (l’ho letto principalmente in treno) e nascondere le lacrime che mi rigavano le guance. Impreparata alla sua potenza.
“Camminavo da un po’, quando mi accorsi che inconsapevolmente tenevo la mano destra sul lato sinistro del petto. Come se mi si fosse incrinato il cuore. Come se potessi continuare a portarlo in giro senza alcun pericolo solo finché l’avessi stretto forte.”
Con la mano appoggiata sul cuore, esattamente come Han Kang dice nelle ultime pagine di questo romanzo.
Atti umani è un racconto in sei atti (più uno), sei voci, sei testimonianze della stessa carneficina.
Atti umani racconta il massacro di Gwangju, avvenuto nel 1980, quando i militari aprirono il fuoco contro studenti e professori che, davanti all’Università, manifestavano contro il Governo, contro la legge marziale. I morti furono migliaia.
“Quando gettarono un sacco di paglia sul corpo dell’uomo più in alto, la torre di corpi si tramutò nel cadavere di qualche enorme bestia immaginaria, con decine di gambe che sbucavano da tutte le parti”
Atti umani è la storia di Dong-ho il ragazzino che attraversa ogni narrazione e che è protagonista del primo atto: un ragazzino che vede morire sotto i suoi occhi l’amico
“Rimasto solo, fosti preso dalla paura e, pensando solo a eludere lo sguardo acuto dei cecchini, strisciasti rapido lungo il muro, spostandoti lateralmente, la faccia premuta contro i mattoni, la schiena rivolta alla piazza.”
Atti umani racconta il senso di colpa dei sopravvissuti, al massacro, alla prigione,
“Vuoi sapere perché io sono ancora viva”
Alle torture
“… una procedura che nel complesso pareva destinata a mettere in chiaro un unico fatto: che il mio corpo non mi apparteneva più. Che la mia vita mi era sta interamente sottratta, e adesso l’unica cosa che mi era permessa era provare dolore.”
Atti umani ci racconta quelle torture, quelle violenza, ma anche il coraggio di chi si è schierato in prima fila, di chi è rimasto nonostante l’epilogo fosse scontato, evidente.
Atti umani parla del dovere della testimonianza, di non mantenere il silenzio, di non farsi zittire dalla censura
“I censori avevano cancellato alcuni righi del paragrafo seguente. «Tenendo a mente questo, resta da chiedersi: che cos’è l’umanità? E cosa dobbiamo fare per far sì che essa sia una cosa piuttosto che l’altra?»”
Atti umani si chiede come si può vivere dopo essere passati attraverso l’inferno, dopo aver visto la crudeltà dell’animo umano
“Mi costringo a non dimenticare mai che ogni singola persona che incontro appartiene alla razza umana. E questo include anche lei che sta ascoltando la mia testimonianza, professore. E include anche me.
[…]
Combatto, da solo, ogni giorno. combatto con l’inferno a cui sono sopravvissuto. Combatto con la mia stessa natura umana. Combatto con l’idea che la morte sia l’unico modo per sottrarmi a essa.”
In Atti umani, ogni personaggio sembra essere alla ricerca dell’anima, sembra chiedersi se l’anima esiste davvero, se l’anima possa sopportare tutto questo dolore, tutto l’orrore alla quale questa storia è sottoposta
“Appena prima di uscire fuori, ti volti a guardare indietro. Non ci sono anime qui. Ci sono solo cadaveri ridotti al silenzio, e questo orribile tanfo putrido”
Ma, soprattutto, Atti umani è in quel titolo; titolo che ci ricorda che se la lettura di questo romanzo qualcosa in noi ha smosso. Se il racconto di quel massacro non ci ha solo indignato o disgustato, ma commosso nel profondo, devastato nel profondo. Se in noi qualcosa si è rotto, insomma, allora sì, forse è ancora possibile aggrapparsi al pensiero che atti umani possano esistere
“In silenzio, senza rumore, qualcosa di tenero nel profondo di me si ruppe. Qualcosa che fino ad allora non mi ero nemmeno resa conto ci fosse.”

