Ha le braccia incrociate strette davanti al petto, il mento abbassato e i lunghi capelli che le ricadono a lato del viso. Sulla panchina, seduto accanto a lei, lui sta dicendo parole per farla sorridere.
Sono giovani, molto giovani, non li conosco, ma quando passo loro accanto, lui mi guarda e mi dice che lei è arrabbiata con lui.
Dille qualcosa perché mi perdoni, aggiunge. E io, ovviamente, le dico di fare pace.
Lei alza il mento, mentre le braccia continuano a rimanere incrociate. Mi racconta perché è arrabbiata e io non posso che darle ragione.
Mi allontano lasciandoli lì al loro bisticcio per una cosa da poco, in fondo; penso a quel giovane amore o forse a tutti quei giovani amori che credono di avere davanti l’eternità, di durare e di non poter perdonare. Che sono tenaci nel loro essere, in fondo, così fragili.
Incontro una coppia con parecchi anni di più.
I loro corpi sono piegati dal peso della fatica e degli anni.
Lui trascina un carrellino di quelli per la spesa, lei ha la borsa di un supermercato, camminano lenti, uno accanto all’altra. Quando ci incrociamo anche i nostri sguardi lo fanno. L’uomo e la donna proseguono
e io mi volto a guardare il loro camminare mano nella mano, quasi a sostenersi o, forse, a dirsi, io sono qua.
Li guardo pensando a quel loro amore anziano, mi chiedo quanti bisticci ci saranno stati e quante riappacificazioni, o forse anche no. Li penso consapevoli di una vita insieme con l’unica speranza di non restare soli, di non essere il secondo (o la seconda) ad andarsene, l’ultimo a rimanere. Li guardo procedere senza alcuna fretta, loro che hanno superato e vinto la fragilità di ogni giovane amore.

