Deborah Levy – NN editore – traduzione Gioia Guerzoni
“Sapevano che avevo trentaquattro anni. Nessun amore. Niente figli. Non c’era una tazza di caffè fumante sul mio pianoforte, il cucchiaio sul piattino, un cane sullo sfondo, il fiume che si intravedeva dalla finestra o un compagno che preparava la colazione dietro le quinte. E sapevano che, tre settimane prima, avevo rovinato il Concerto per pianoforte e orchestra No. 2 di Rachmaninov a Vienna, ed ero scesa dal palco. L’avevo suonato un’infinità di volte prima di quella sera.”
Elsa M. Anderson è una pianista affermata, noi la incontriamo reduce da un fallimento sul palco, la incontriamo ad Atene quando, a un mercatino dell’usato, incontra una donna che da quel momento sarà il suo doppio, sarà la donna che incontrerà più e più volte, che le parlerà nella testa, che l’accompagnerà (in un modo o nell’altro) in un viaggio alla ricerca della sua identità. Alla ricerca della risposta alla domanda che da sempre l’accompagna: chi era sua madre? Perché l’ha abbandonata?
“Avevo due madri. Una mi aveva abbandonato. E io avevo abbandonato la donna che l’aveva sostituita. Le sentivo trattenere il fiato.”
E il viaggio di ricerca porterà Elsa a toccare luoghi diversi: Paros, Parigi, Londra, la Sardegna dove il suo insegnante di pianoforte e padre adottivo si è ritirato a vivere. Ed è un viaggio che ha sullo sfondo quel periodo che abbiamo conosciuto tutti dietro alle mascherine; un tempo di incertezze che ha contribuito a renderci (e che rende Elsa) più insicuri, traballanti e incerti
“Eppure mi sembrava che la realtà potesse cambiare da un momento all’altro. Inondazioni e siccità e guerre ci avrebbero visti trascinare coperte e materassi nelle stazioni, magari con un piccolo oggetto portafortuna. Se fosse arrivata la fine del mondo, la mia vera madre mi avrebbe cercato? Guardai la statua di bronzo per capire se l’abbraccio era un ritrovarsi o un addio.”
I giorni di Elsa sono così puntellati dai forse
“Forse è vero.
Vero cosa?
Forse è vero che cerco delle ragioni per vivere.”
Dalle conversazioni che fa con se stessa e con il suo doppio. Dalla paura di scoprire da quale verità è venuta al mondo. Dalla musica che risuona in ogni pagina; dalle brevi lezioni di pianoforte, dove insegna a giovani allievi che vorrebbero fare altro, suonare altro. Dagli incontri, e dialoghi, con amici e sconosciuti,
“C’era qualcosa nell’aria tra noi, come l’idea dell’amore. La dimensione di questo tipo di amore, di come lo percepivo io, era la tacita realizzazione del suo desiderio e del mio desiderio, e del desiderio di Rachmaninov, di trascendere il dolore della vita quotidiana. Prima di separarci mi disse che si chiamava Ann, senza la e.
Mi chiamo Elsa.”
Dall’ assenza, o dal rifiuto, dell’amore.
Agosto blu non risponde a ogni domanda del lettore, lasciando forse la libera interpretazioni a chi seguirà Elsa nel suo viaggio. Avvolge molto in un alone di mistero, un alone onirico che spinge a chiederci quanto sia reale a quanto frutto dell’immaginazione della sua protagonista dai capelli blu. Del resto, riprendendo una citazione del libro
“Isadora (Dancan) ripeteva, raccontai a Marcus, che se avesse potuto descrivere tutto ciò che significava, non avrebbe avuto senso ballarlo.”
Quindi, come ho letto di recente in un libro per ragazzi, uno dei compiti del lettore o della lettrice è forse anche questo: non pretendere che tutto gli(le) sia svelato, ma cercare da solo (o da sola) le risposte alle domande rimaste in sospeso…
“Non potevo confidarmi con Ann come avevo lasciato che Rachmaninov si confidasse con me. Perché avrei dovuto dirle che una volta ero Ann senza e, prima che Arthur mi cambiasse il nome? Avrei voluto farlo. Volevo dirle che Ann era scomparsa e poi era tornata sulla terra come Elsa.”

